Buongiorno cari lettori e lettrici. Non accamperò scuse per la mia prolungata mancanza, e, a dirla tutta, non avrei dovuto nemmeno ancora scrivere questo post, visto che mi ero prefissata di aspettare l'uscita del mio nuovo libro (Forgotten Times - Il Seme della Corruzione) per ritornare, ma mi sembrava il caso di almeno farvelo sapere. Per una serie di accadimenti che non vi starò a spiegare, la mia famiglia richiede la mia presenza costante. Questa situazione non finirà tanto presto, anzi, temo che non finirà mai, e la mia famiglia ha la precedenza su tutto. Come è giusto che sia. Per il momento, finché non si "calmeranno le acque", mi prenderò una pausa dalla scrittura, cercherò di promuovere il nuovo libro che dovrebbe uscire a breve, proseguirò con le recensioni e cercherò di dedicarmi ad altri progetti di stesura di articoli vari, su cui non voglio dire nulla per non sbilanciarmi troppo. Di progetti ne ho tanti, di volontà pure, di tempo (e possibilità) poco e niente.
Ma per il momento basta così. Sappiate che sto continuando a leggere e, poco a poco, recensirò.
Oggi dedico questo spazio al primo volume della saga de "La Leggenda del Drago d'Argento" di Paolo Massimo Neri.
Sinossi
“La porta si aprì lentamente e sulla soglia comparve un uomo senza un occhio e dai lunghi capelli grigi”. Egli è Guyl Dosberg, detto Ferrobraccio, ex cavaliere, incaricato da suo figlio Gaelmn con una misteriosa lettera di allenare il nipote Koddrey, per il suo futuro di cavaliere presso la Scuola di Spada di Willysberg. Di lì ha inizio l’avventura, il percorso di crescita del ragazzo alla costante ricerca delle sue oscure origini. Egli incontrerà strane creature e strani manufatti, ma scoprirà anche valori importanti come l’amicizia e lo spirito di sacrificio. Conoscerà la morte e il male che dovrà fronteggiare, insieme ai suoi amici e a un potere sconosciuto. Un’eredità pesante e un’esperienza importante lo costringeranno a maturare in fretta per sopravvivere. Senza rendersene conto, egli inizierà un cammino costellato di delusioni, riflessioni, emozioni, legami di sangue, intrighi, menzogne, personaggi misteriosi, ma anche di colpi di scena, di confronti, alla ricerca della propria identità senza arrendersi alle avversità. Per se stesso e per gli altri. Fino alla verità.
Note dell'autore
Il primo libro de "La leggenda del Drago d’Argento", "La spada nera", si propone, nelle mie intenzioni, come l'inizio di una serie di romanzi mirati ad attirare la curiosità del lettore facendolo riflettere sui rischi, sulle domande ancora senza risposta, che hanno determinato (o determinano) la propria crescita e aiutandolo a comprendere il messaggio segreto che traspare dalla narrazione. Un segreto che riguarda la vita di tutti i giorni e da cui dipendiamo senza rendercene conto e con cui, forse per noia o per comodità, non vogliamo avere a che fare. Ma è soprattutto un romanzo thriller-fantasy incentrato sulla capacità del ragazzo di reagire, di guardare in faccia la realtà, di andare avanti senza arrendersi, malgrado le ferite e i dubbi che la vita gli sottopone giorno dopo giorno, e di rialzarsi più forte di prima grazie soprattutto all'aiuto dei suoi amici. Il sacrificio, la responsabilità, la consapevolezza di se stessi, il coraggio ma anche la determinazione, rendono questo primo libro (da me eufemisticamente chiamato “romanzo di presentazione”) come un percorso di crescita personale, di tutti.
Ed ora, la mia recensione.
Molto classico.
Raramente mi capita di essere così indecisa sul giudizio da dare a un romanzo. Generalmente, fin dall'inizio, dalle prime pagine, ho una prima impressione, un "presagio" che mi dice: "Questo libro è da cinque stelle (o quattro, o tre, ecc ecc)". Durante la lettura di questo romanzo, invece, la mia opinione è cambiata così tante volte che ne o perso il conto. Ma andiamo per gradi.
Bisogna innanzitutto ammettere che "La Spada Nera" è un lavoro titanico. Essendo anch'io una scrittrice (e un'editor), posso testimoniare di quanto sia difficile scrivere e correggere un libro così lungo. In linea di massima la grammatica è buona, con qualche refuso qua e là che comprendo possa perdersi nel mare di pagine, anche se ho purtroppo notato un po' di confusione con la coniugazione dei verbi, ovvero l'uso di tempi semplici laddove si rendono necessari tempi composti. Mi sarebbe piaciuto riportare un esempio, ma a lettura terminata non sono riuscita a ritrovare ciò che cercavo nel kindle (non so se si possa sottolineare, non ho mai imparato a farlo). La cosa non è comunque così ricorrente, fa un po' storcere il naso di tanto in tanto, ma si può soprassedere. Ciò a cui invece non si può soprassedere è la presenza di troppi fronzoli inutili, che rallentano la cadenza narrativa e talvolta (soprattutto all'inizio) ti fanno venir voglia di lasciare la lettura a metà. Questo è stato il motivo principale per il quale ci ho messo più di un anno a terminare il libro. Con "fronzoli inutili" intendo che il romanzo avrebbe bisogno di diversi tagli strategici, che riguardino soprattutto le descrizioni. In certi punti - in cui il ritmo narrativo richiede invece botta e risposta veloci, che facciano salire il livello d'adrenalina nel lettore, e lo spingano a divorare il capitolo e magari cominciare il prossimo -, sembra invece di leggere: "Quel ramo del lago di como, che volge a mezzogiorno tra due catene ininterrotte di monti..." e ti viene voglia di passare al paragrafo successivo, dove ti aspetta il seguito dell'azione che ti aveva interessato appena poco prima. La situazione si fa poi meno pesante dal 60% del libro in poi, quando la storia diventa più interessante e degna di nota. Da quel punto del libro ho incominciato davvero a leggere con un certo gusto e interesse (e in molto meno tempo), soprattutto con l'entrata in scena dell'elfo Ghonim e le rivelazioni sull'origine del protagonista. Non mancano comunque un po' di difetti strutturali, la scuola di spada e magia richiama un tantino Hogwarts, come pure gli altri elementi rientrano perfettamente nei canoni del fantasy classico, senza però dare quella sensazione pesante di trito e ritrito, ma un piacevole deja vu che fa sorridere e suscita anche un po' di tenerezza negli appassionati del genere.
Alla fine mi sono rimasti però un paio di dubbi su ciò che avevo letto (spoiler):
Ma perché a nessuno passa nemmeno per l'anticamera del cervello che Maruen possa essere un demone mutaforma (e anche un po' vampiro), come se fosse una cosa impensabile e impossibile, quando mi pare di capire che i druidi fossero già venuti a contatto con i demoni di Shuuram? E perché i norjeni (o come si scrive) sono considerati una razza a parte, diversa da quella umana? C'è scritto che nani, elfi e umani sono in realtà la stessa razza umana, solo che gli elfi si sono evoluti per abitare le foreste e hanno sviluppato la magia, e i nani per abitare le caverne, sviluppando così la medicina, ma hanno tutti la radice umana in comune. I norjeni sembrano venire dal nulla, e ci sono pochissime spiegazioni a riguardo (che spero siano comprese nel volume successivo).
Fine spoiler.
Alla fine dei conti, il romanzo vale la pensa di essere letto, e complimenti all'autore per aver scritto un lavoro tanto corposo e minuzioso, il che non è da tutti. Rimango dell'idea che con un paio di accorgimenti (di cui ho parlato sopra) l'opera migliorerebbe parecchio, ma il fattore "primo romanzo" bilancia l'equazione e fa chiudere anche più di un occhio solo.
La prossima recensione è già pronta nella mia testa, devo solo scriverla. Alla prossima volta con il racconto breve "Il coltello" di Noemi Gastaldi.
In lettura: "Le Ombre della Dea" di Manuele Velluti.