I
«... Ed è per questo, fratelli, che vi invito alla redenzione. Il
male è forte e alberga tra noi. Il maligno ha ormai contaminato la
pace, che regnava in questo paese fin dall’alba dei tempi con la
sua oscura ombra... continua, imperterrito, a seminare sciagura e ad
attirare a sé nuovi adepti. Pochi sono così forti da
resistergli...»
Pausò un attimo, per indicare con una mano lo stuolo di cadaveri
allineati innanzi all’altare; solo il volto, ingessato dai troppi
strati di cerone, poteva essere scorto dal giaciglio ligneo ove
riposavano.
«... L’oscura ala della morte ha avvolto i nostri cari
concittadini, trasformandoli in schiavi dell’oscura legione... ora,
anch’essi sono bestie da soma, agli ordini di coloro che li hanno
resi degli spietati demoni assetati di sangue. Questi sono la prole
di colui che, nato dall’uomo che per primo vide la luce, fu
maledetto da nostro Signore e costretto a vagare fino alla morte su
questa terra...
“Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me
dal suolo. Ora sii maledetto, lungi da quel suolo che per opera della
tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il
suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco
sarai sulla terra”. Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la
mia colpa per ottenere perdono! Ecco, tu mi scacci oggi da questo
suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e
fuggiasco su questa terra e chiunque mi incontrerà mi potrà
uccidere”1...”»
Aveva intonato con voce solenne quel passo del testo sacro che teneva
aperto tra le instabili mani.
«I suoi figli vivono una non-vita votata all’oscurità... amici,
fratelli, ora io vi invito a purificare i vostri cuori affinché in
loro dimori la vera fede, sacra arma contro questi morti ancora
viventi che, con i poteri conferitogli dal demonio, continuano a
mietere vittime. Non cedete alle tenebre...»
Le parole infuocate del capo spirituale scuotevano con forza gli
animi delle persone che, assiduamente, si recavano nella casa del
Signore per ascoltare i suoi sermoni.
Se solo le parole avessero avuto il potere di difenderli dalle bestie
di cui tanto parlava.
Erano mesi, ormai, che la gente viveva nel terrore. Ogni notte, con
il favore delle tenebre, misteriose sparizioni colpivano il
villaggio: molti venivano dati per dispersi, altri ritrovati
cadaveri, pochi giorni dopo, con profondi solchi all’altezza della
giugulare, all’apparenza provocati da possenti zanne animali. Nel
loro corpo non scorreva più nemmeno una goccia del prezioso fluido
vitale.
Le autorità locali avevano archiviato i casi per la loro natura
razionalmente inspiegabile, oltre che per paura, preferendo
instaurare un coprifuoco per preservare i paesani dagli assalti di
quelli che avevano definito, per quanto assurdo, “fiere in
libertà”: era impensabile scorgere tigri e leoni lì in
Inghilterra, al massimo dei lupi, ma anche quelli erano rari; com’era
impensabile un siffatto comportamento da parte di tali animali: la
dinamica degli omicidi, il modo a dir poco sadico in cui i corpi
erano stati drenati del loro sangue, non era attribuibile a una
bestia che sbrana la propria preda per cibarsene, invece, in quei
casi, le carni erano praticamente intatte, senza contare gli evidenti
ematomi e le profonde ferite sparse su gran parte della superficie
del corpo, dovuti, probabilmente, a un vano tentativo di resistenza
facilmente placato.
Da una prima ricostruzione delle autorità era risultato che gli
“animali” erano saltati addosso ai malcapitati, affondandogli le
zanne nel collo per lambirne tutto il sangue.
Non c’era voluto molto perché audaci voci cominciassero ad
attribuire una spiegazione sovrannaturale all’accaduto: non poteva
essere l’opera di un uomo né, a quel punto, di un animale; inoltre
molti, presi dal panico ed evidentemente dalle allucinazioni,
affermavano di aver visto camminare i cadaveri di alcuni dei
dispersi.
Tutti condividevano la non pronunciata idea che vi fosse lo zampino
del Maligno: il loro pacifico paesino era marchiato dal Demonio, che
aveva approfittato del periodo di disordine per attirare a sé nuove
anime.
I problemi erano cominciati in concomitanza con la conversione: si
erano fatti abbindolare dalle belle parole del pastore Gedeon, uomo
di fede anglicana oltre che cittadino colto della capitale.
All’inizio, non gli era stato difficile convincere una massa di
bifolchi, dagli occhi ancora annebbiati dalla magnificenza papale, ma
ben presto anch’egli si era conformato al loro stile di vita,
perdendo conseguentemente di attendibilità; gli avvenimenti e
l’alcool avevano logorato l’efficacia delle sue parole, tanto più
che, nel sentire sul collo il respiro del male, cominciassero anche a
credere alle voci che additavano Lutero come l’Anticristo: erano
confusi e spaesati.
Qualunque cosa per loro sarebbe stata giusta e inconfutabile, purché
avesse posto fine a quelle stragi. In ogni caso, il coprifuoco non
era bastato a fermare la carneficina: la sete di sangue aveva spinto
quelle belve a fare razzia persino in alcune casupole al limite
esterno del villaggio, le più vicine al bosco che lo circondava; era
proprio da lì che si diceva che provenissero le fiere.
Pochi erano al corrente della verità. E quei pochi non potevano
nemmeno vantarne la metà!
Gedeon era uno di questi, ma le sue parole erano spesso prese per
deliranti vaticini frutto dei vapori dell’alcool: persino mentre
parlava, il suo alito fetido di liquore poteva essere avvertito fin
dalle prime file, che perciò erano semivuote.
Era strano notare come, tra quei vecchi dalla pelle rugosa e cadente,
con i loro bastoni come unico compagno, vi fosse un giovane uomo.
Intorno a lui sembrava essersi concentrato un alone d’oscurità:
abiti neri come la pece, occhi d’ebano e lunghi e folti capelli
neri legati dietro la nuca, messi poi a risalto da una pelle lattea e
labbra tinte di un pallido rosa, curvate in un sorrisetto beffardo.
Le parole del pastore lo divertivano.
Deciso a non turbare la falsa quiete che regnava nell’androne,
aspettò che gli occhi del celebrante incrociassero i suoi.
Seminascosto dietro lo spartano pulpito, Gedeon divideva lo sguardo
tra le Sacre Scritture, su cui le sue mani erano posate, come per
proteggersi e scacciare la paura, in mancanza del più gradito,
liquoroso antidoto, e il pubblico di fedeli cui si stava rivolgendo.
Quando il suo sguardo circospetto, per un attimo, si posò su quello
dello strano giovane in prima fila, il tremore delle sue mani
aumentò, mentre la sua freddezza scemava in preda a un attacco di
panico. Per una breve, infinita frazione di secondo, sulla sua
candida cornea era balenato un alone rossastro.
Il pastore cessò di colpo di proferire e lo sgomento s’impossessò
del suo volto rubicondo.
Indietreggiò di colpo, col viso improvvisamente scomposto dal labbro
inferiore tremante, urtando tutto ciò che vi era sul suo cammino,
mentre la Bibbia cadeva per terra con un tonfo sordo, coperto dalle
sue farneticazioni.
«No! No! Non è possibile! I figli della notte! I figli della notte!
Sono tra noi, ci uccideranno tutti, tutti...»
Piagnucolò le ultime parole tra le risa generali, mentre il suo
assistente, un giovane ventiquattrenne dai corti capelli di un caldo
castano, gli impediva di accucciarsi sul pavimento. Nonostante gli
strenui tentativi del novizio, il religioso continuò a dimenarsi:
era così terrorizzato che non gli importava della figuraccia e della
contraddizione delle precedenti parole, di cui stava dando esempio
davanti ai fedeli che lo osservano attoniti e divertiti; in quel
momento gli premeva solo la propria vita e per preservarla avrebbe
potuto ricorrere a qualsiasi sotterfugio. Si aggrappò alla mano del
giovane sottoposto, strattonandogliela con forza per convincerlo a
compiere un passo che, probabilmente, sarebbe stato decisivo.
Invece di farsi commuovere dal gesto disperato dell’uomo, il
ragazzo rispose con sdegno agli strattoni, ritirando con forza la
mano. Nel frattempo, nello scompiglio generale, il giovane uomo
incriminato si alzò e levò il disturbo; il gesto, però, non sfuggì
all’occhio vigile del novizio.
Non appena ebbe varcato il portone della chiesa, il giovane,
ricoperto da una lunga tunica nera, da cui si potevano scorgere solo
i pesanti stivali di cuoio, serrò gli occhi inondati dal sole con
una smorfia, riparandoseli con un cappuccio che gli ricoprì il volto
per metà.
Era inverno inoltrato, il vento spirava gelido e le nuvole, spesso
cariche di pioggia, ingrigivano il già cupo paesaggio; a coronare il
tutto vi era una densa nebbia: avrebbe impedito a qualunque comune
mortale di muoversi liberamente per quelle sdrucciolevoli strade, ma
lui non aveva alcun problema.
Prima di allontanarsi, rivolse un ultimo sguardo al portone della
vecchia chiesetta, l’orgoglio del paese, l’ormai non più ridente
Southwark: ottima difesa contro i responsabili delle stragi notturne,
ma non contro di lui.
Più tardi, con il favore delle tenebre, sarebbe tornato a fare una
visita al pastore. Sapeva troppe cose: cose di cui gli umani non
dovevano assolutamente essere a conoscenza, troppo grandi, troppo
pericolose; per la loro incolumità, era meglio continuassero a
bearsi nella loro ignoranza. Gedeon doveva perciò tacere, anche a
costo di privarlo per sempre dell’uso della parola. Non amava
uccidere gli esseri umani, lui non era come gli altri. Perché era in
parte umano.
Avvolto dalla nebbia, il predatore solitario si dileguò, eludendo
gli sguardi dei passanti attratti dalla stranezza del suo vestiario,
completamente estraneo agli usi del secolo, oltre che dal suo
atteggiamento sospetto: era schivo e impenetrabile, preferiva evitare
ogni rapporto sociale, a meno che non fosse strettamente necessario
per la sua sopravvivenza.
Il suo nome era una leggenda, paura e disprezzo vi erano legati. Si
diceva che nessuno fosse mai sopravvissuto dopo averlo incontrato, ma
nessuno conosceva il suo volto o lo aveva mai realmente visto, né
poteva asserire con certezza che esistesse veramente. Egli era colui
che aveva rinnegato l’appartenenza alla stirpe di suo padre,
l’ibrido la cui umanità aveva trionfato sulla bestia, sebbene
quella denominazione non l’avesse abbandonato; era la vergogna ma,
allo stesso tempo, il flagello della sua gente. Non un
vampiro, non un umano; non era nessuno e, come tale, viveva
nell’ignoto.
1
Genesi 4, 10«14
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