domenica 11 novembre 2012

"Forgotten Times"... Cap. II

II


Risa. Vergogna. Applausi di scherno scrosciavano tra le navate, impacciando ulteriormente i goffi movimenti del pastore che veniva trascinato verso la sicurezza della cappella.
Quando la fonte di divertimento si fu infine dileguata, anche i fedeli cominciarono finalmente a lasciare il sacro luogo, in una massa disordinata e irrispettosa della quiete. Il loro comportamento in un mercato sarebbe stato di certo più ortodosso.
Calò il silenzio. Di tanto in tanto, potevano essere uditi i rabbiosi singhiozzi di Gedeon echeggiare per tutta la chiesa: dileguatisi i fedeli, era tornato nel punto in cui era stato colpito dalla crisi di panico. La sua immagine di uomo colto e degno di fiducia era rovinata, nessuno avrebbe più creduto alle sue parole. Anche se dal suo comportamento non sembrava, gli premeva la sorte dei suoi compaesani: il sermone tenuto durante il funerale, poco prima interrotto, voleva proprio far loro intendere che il pericolo cui andavano incontro era fuori dalla loro portata, perciò l’unico modo efficace per preservare le loro vite era rifugiarsi nella fede, ovvero in chiesa.
Si asciugò le lacrime con la manica della tunica, che soleva indossare durante le celebrazioni più solenni, poi fece cenno al novizio, che lo seguiva sgomento, di aiutarlo a rimuovere le bare che ancora giacevano davanti all’altare.
Tra i due continuò a vigere un silenzio snervante, finché il più giovane non decise di spezzarlo: ormai il tremore delle mani del suo maestro era visibilmente diminuito.
«Allora, vecchio imbecille, mi vuoi spiegare che diavolo ti ha preso?»
Gedeon, come se stesse rivivendo il terribile momento, riprese a tremare spasmodicamente, avvicinandosi al novizio e afferrandogli le vesti per scuoterlo.
«Ma... Matthew, l’hai visto anche tu, vero? No... non sono impazzito... era uno di loro! UNO DI LORO!!» urlò, fissandolo con gli occhi sgranati da bimbo spaurito, mentre l’ultima parola ancora rimbalzava sulle pareti, perdendo d’intensità a ogni replica.
«Mi sembra ovvio!» rispose sarcastico il ragazzo. «Ma non c’era bisogno di fare quella figura penosa davanti a tutti! Se prima ti credevano un ubriacone, ora ti credono anche un pazzo demente... anche se io, personalmente, aggiungerei subdolo e vigliacco...»
I suoi modi di fare erano rudi e il linguaggio non si addiceva a un giovane ecclesiastico del suo rango, ma il momento lo richiedeva.
«Ma cosa potevo fare? Quel... quel mostro voleva uccidermi... lo so! Quegli occhi... rossi come il sangue...»
Matthew scosse la testa, dubbioso.
«Non penso. Se solo l’avesse voluto, l’avrebbe potuto fare in qualsiasi momento... la paura ti ha così offuscato la vista da non farti notare che quel mostro si trovava in terra consacrata, nonostante la vera fede sia in grado di respingere quelli della sua razza, se non essergli addirittura fatale? Questo particolare non mi convince affatto... quell’essere non doveva essere qui... e poi, ho ragione di pensare che il suo intento fosse quello di spaventarti... forse voleva solo farti tacere...»
Il pastore guardò il discepolo, per lui ormai più di un figlio, con la bocca aperta: le sue parole avevano permesso alla ragione di farsi nuovamente strada nella sua mente, allontanando il delirio; ma non avevano scacciato il terrore.
Matthew scosse la testa nel notare che il maestro non rispondeva, continuando invece a tremare.
«Forse è meglio che ti ritiri nei tuoi alloggi, è stata una giornataccia...»
Gedeon annuì e, ubbidiente, si allontanò barcollando. Matthew, invece, rimase immobile ancora per un attimo a riflettere sul da farsi, poi si allontanò nella stessa direzione.
Una sagoma oscura si ergeva nella fitta nebbia del bosco, passandosi una mano sulla bocca, per pulirsi un rivolo di sangue che gli colava dall’angolo delle labbra, unite in un sorriso compiaciuto di pura estasi. Si passò quindi la lingua sulle stesse, per cancellare l’alone lasciato dalla mano, deglutendo le ultime gocce del proprio sangue che gli fuoriusciva dalle gengive, offese dai doppi canini che si ritiravano al loro interno fino a rendersi nuovamente invisibili.
Lentamente, gli occhi purpurei tornarono alla bianca quiete. La sua mano intrisa di sangue coagulato si flesse, lasciando cadere per terra la sfortunata preda animale, ormai inerme e drenata di ogni goccia del prezioso fluido vitale, mentre gli affilati artigli ritornavano a essere normali unghie umane. Portò la mano alla bocca, cancellando con brevi leccate le chiazze lasciate dal suo pasto, prima di tornare sui propri passi.
Penetrò nella stanza immersa nell’oscurità, senza fare il minimo rumore; solo il pesante respiro del pastore, profondamente addormentato, era avvertibile.
Avanzò con passo felpato, occhi vagamente felini rilucenti nel buio della stanza, senza incontrare i vari ostacoli interposti sul suo cammino: vedeva perfettamente la piccola sedia di legno, posta innanzi all’altrettanto piccolo comodino dal cassetto aperto, appena alla sinistra del letto; nessun uomo sarebbe stato capace di fare altrettanto, ma lui poteva contare sui vantaggi del suo odiato sangue.
Approssimatosi al letto in cui Gedeon riposava, non poté fare a meno di portare una mano al volto a riparo del sensibile naso: un forte odore di alcool si innalzava dalla sua bocca schiusa, da cui usciva un rivolo di saliva stagnatosi al lato delle labbra e riversatosi, in parte, sul suo grezzo cuscino. Di tanto in tanto, l’uomo portava per riflesso incondizionato una mano al petto, probabilmente per alleviare l’insopportabile prurito; nell’altra mano teneva ben stretta una bottiglia di whisky scozzese di pessima annata: l’etichetta era consumata e scolorita, ma lo poteva ben dedurre dall’odore nauseabondo. Non poté fare a meno di curvare le labbra, in un’evidente smorfia di disgusto.
Proprio mentre stava per portare una mano sulla bocca del pastore, per impedirgli di urlare dopo il brusco risveglio, la porta si spalancò fragorosamente, rivelando il volto, pallido nell’oscurità della stanza, del giovane Matthew. Il predatore indietreggiò, non avendo previsto una simile arguzia da parte del novizio.
Nonostante il fracasso causato dall’allievo, Gedeon continuò a sonnecchiare beatamente, spostandosi solo per voltarsi di lato e potersi grattare una natica.
Con un balzo a dir poco felino, l’intruso, che poco prima stava per aggredire il pastore, si fiondò fuori della stessa finestra da cui era entrato, seguito scrupolosamente, ma con molta meno destrezza, da Matthew.
Voleva venire a capo di quel mistero. Voleva sapere chi, cosa fosse quell’essere, e cosa volesse da loro. Doveva scoprirlo.
Era molto veloce, ma non poteva demordere, non poteva lasciarlo scappare; sentiva i polmoni dolergli, implorarlo di fermarsi per poter riprendere la loro normale attività, ma continuò a seguirlo, convinto che volesse sfuggirgli. Si sbagliava.
Giunti al limitare della foresta, i due si arrestarono uno dopo l’altro: il primo, fiero e sicuro di sé, non riportava il minimo segno di stanchezza, l’altro, che al contrario era ansante e quasi piegato in due dalla fatica, pareva alquanto titubante.
Gocce di sudore gli imperlavano le tempie; aveva dato fondo a buona parte delle proprie energie per riuscire a raggiungere l’instancabile essere ed era certo che, se non si fosse fermato in quel preciso istante, le sue articolazioni avrebbero ceduto alla fatica.
 Era un uomo di fede (almeno in teoria) e, anche se sapeva difendersi più che discretamente, le sue doti fisiche non erano comparabili a quelle di un demone. Demone: non poteva catalogarlo altrimenti, non sapendo cosa in realtà fosse.
«Maledetto! Chi sei? Cosa pensavi di fare al mio maestro?»
Una stanza buia, odore salmastro di lacrime amare, eco di singhiozzi tra le pareti di primordiali mattoni, prive di ornamenti come consono nelle umili dimore dei canonici, sebbene molti, nella loro corruzione, continuassero ad abbracciare la carriera ecclesiastica solo per il prestigio e il denaro, in modo da potersi circondare di sfarzo e vivere nell’agiatezza.
Il pastore Gilbert viveva per l’appunto in quella casa, magnanima donazione di Sir Gregory Jr, giovane figlio del feudatario locale, nonché pretendente alla mano di sua nipote. La sua bambina.
Secondo le usanze dell’epoca, sua nipote Patricia avrebbe dovuto seguire l’esempio dei suoi padri e intraprendere la via della fede, oppure avrebbe dovuto sposarsi una volta compiuta la debita età e il caso voleva che quello fosse il giorno del suo diciassettesimo compleanno, età più che perfetta, se non già avanzata, per contrarre matrimonio.
Gilbert aveva pensato di fare un gradito regalo alla giovane nipotina, informandola di ciò che era accaduto quel pomeriggio, ma così non fu.
Un uomo di mezza età – la calvizie ormai diffusasi che non gli permetteva più nemmeno di conciare i capelli nel classico modo clericale, i folti ma corti baffi e la barba grigiastra poggiata sul petto – sfogliava con bramosia uno dei vari testi di teologia e filosofia che giacevano ammassati sul tavolo del suo studio.
A differenza della maggior parte della gente che viveva in paesini e campagne, nobili ed ecclesiastici come lui, che abitavano la grande capitale Londra, amavano accrescere il proprio bagaglio culturale, favorendo la rinascita di quella cultura che, secoli addietro, era stata quasi completamente oscurata. Il processo era lento e ancora circoscritto alla loro stretta cerchia, ma presto si sarebbe diffuso e tutti sarebbero stati in grado di gioire di quei piaceri. Un gran passo avanti era stato fatto con la traduzione della Bibbia, ma c'era ancora tanta gente che non sapeva nemmeno scrivere il proprio nome.
Divorava avidamente quei libri, pagina dopo pagina, senza badare allo scorrere del tempo; il bussare alla porta del suo studio lo obbligò a desistere.
«Avanti!» rispose meccanicamente, senza nemmeno staccare gli occhi dall’interessante lettura; la porta si aprì, quasi timorosa, rivelando il volto di sua figlia.
«Padre, Sir Gregory chiede di voi... lo faccio entrare?»
Il pastore annuì, distogliendo finalmente lo sguardo dal libro e, poco dopo, il figlio del nobile signore loro benefattore gli era seduto dinanzi sorridente.
«Reverendo Gilbert, avrei una questione molto importante da sottoporvi...» azzardò imbarazzato. Dopo un breve cenno del capo dell’uomo, riprese.
«Vorrei che mi accordaste la mano di vostra nipote Patricia... naturalmente, sono disposto a offrirvi una lauta dote, in cambio...»
L’uomo si mostrò di colpo interessato. Benché non avesse intrapreso la carriera ecclesiastica per il denaro, la prospettiva di offrire a Patricia un buon futuro, agiato, accanto a un uomo benestante e gentile come Gregory, lo allettava parecchio.
I due giovani si conoscevano praticamente da sempre e la sua nipotina aveva dimostrato molta simpatia nei suoi confronti; con il tempo, avrebbe anche imparato ad amarlo.
«Sarebbe magnifico! Mia nipote ne sarà entusiasta! Avete la mia benedizione! Venite con me, andiamo immediatamente a comunicare la notizia a Patricia... non vedo l’ora di darle la lieta novella...»

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